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giovedì, 25 maggio 2006

Rai, una fondazione nominata dal Quirinale
di ROBERTO ZACCARIAzaccaria_roberto.jpg
25-05-2006

Il nuovo ministro delle comunicazioni, Paolo Gentiloni, ha richiamato nei giorni scorsi in un’intervista a Repubblica alcuni dei principi contenuti nel programma dell’Unione in materia di servizio pubblico e naturalmente si è aperto un vivace dibattito, come sempre avviene quando si parla di queste cose. Giudicare “superato” il progetto di privatizzazione contenuto nella Gasparri è un atto di pura cortesia. Si potrebbe dire semplicemente che quel progetto non è mai esistito se non nella testa di qualche solerte dirigente che in omaggio a quell’obiettivo ha “regalato” al Tesoro un bel pacco quarck.jpgdi miliardi che meglio avrebbe fatto ad investire nell’azienda e magari nel digitale terrestre. Sull’argomento si deve tornare quindi ad un serio disegno di riorganizzazione. Un disegno che parta dai fini generali del servizio pubblico (contenuti nel protocollo di Amsterdam) e che sappia realizzare quell’indipendenza dei vertici e quell’autonomia degli operatori che il programma dell’Unione enuncia a chiare lettere. È appena il caso di aggiungere che quest’obiettivo si insegue in Italia dal lontano 1975 con risultati sempre insoddisfacenti. È questo l’obiettivo dichiarato anche della proposta di legge firmata dall’onorevole Tana de Zulueta (con tanti altri sostenitori), anche se il sistema tedesco al quale si avvicina sembra piuttosto lontano dalla nostra esperienza. Ricordo che nella fase formativa del programma ci siamo interrogati su una duplice alternativa per arrivare ad un modello di governance della Rai, capace di offrire ad un tempo indipendenza dalla politica ed efficienza operativa: esigenze entrambe necessarie per un modello di governo adeguato ai tempi. La prima alternativa era quella di una fondazione capace di porsi come ideale diaframma tra la sfera pubblica e quella più tipicamente aziendale, con il vantaggio di offrire un modello più facilmente plasmabile dalla legge. La seconda alternativa era costituita da una holding di proprietà pubblica, ma di diritto privato posta a capo di una serie di società-figlie operanti nei diversi campi di attività della Rai. Dirò rai_mazzini.pngcon franchezza che i due modelli possono essere equivalenti ma quella che risulta decisiva è la fonte originaria di legittimazione delle nomine al vertice. Io, francamente, credo che se vogliamo realmente uscire prima o poi dagli schemi di rappresentanza parlamentare, fondati sulla contrapposizione maggioranza/opposizione, bisogna ricorrere a una fonte di legittimazione completamente diversa. In astratto sarebbe corretto coinvolgere le regioni, ma i meccanismi di rappresentanza di questi enti condurrebbero inevitabilmente, attraverso la semplificazione dei numeri di un consiglio, ad una nuova lettura in chiave di maggioranza e opposizione. Non restano allora che due soluzioni: una che potremmo definire “partecipativa” fondata su una designazione significativa proveniente dalla comunità degli operatori, un po’ utopistica forse ma vicina allo spirito dell’articolo 43 della Costituzione. La seconda, molto più realistica, già operante nel servizio pubblico francese, potrebbe essere introdotta anche da noi, con opportuni accorgimenti, sia nel modello holding che nel modello fondazione: si tratta di una formula di garanzia che potrebbe essere ricondotta alla competenza del presidente della repubblica. Il presidente che con legge ordinaria è già chiamato a designare alcuni componenti del Cnel (legge n.936 del 1986) potrebbe intervenire, direttamente o indirettamente, nella designazione dei vertici del servizio pubblico e potrebbe così dar vita ad un modello nuovo e certamente non riconducibile allo schema tradizionale maggioranza-opposizione. Chissà che in questo modo le cose non cambino?

Ultimo Aggiornamento ( giovedì, 25 maggio 2006 )
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